Quando viviamo un evento traumatico tendiamo ad incolpare noi stessi. A che cosa è dovuto questo meccanismo di difesa pericoloso?
Molti sopravvissuti ad eventi traumatici di diverso genere tendono ad incolpare sé stessi per quanto avvenuto.
Le vittime di abusi sessuali ritengono di non aver fatto abbastanza per evitare l’aggressione o, nel peggiore dei casi, di “essersela cercata”, anche a causa della pressione sociale che incalza questo modo di pensare; i sopravvissuti a violenze in età infantile, arrivano a giustificare quanto subito per non rinunciare all’attaccamento verso la figura del caregiver o per percepire un certo grado di controllo sul trauma subito.
Ma perché arriviamo ad assumerci colpe che non abbiamo? A considerarci colpevoli quando in realtà siamo noi le vittime? Questo meccanismo di difesa è ancorato al bisogno di controllo sull’evento, ma non solo.
Il senso di colpa negli abusi infantili
Uomini e donne che da bambini sono stati vittima di abusi, arrivano addirittura a sentirsi in colpa per quanto successo ripetendo frasi come: “Non imparavo mai la lezione”, “Non ero abbastanza bravo per fare quello che mi veniva chiesto”, oppure “Ero indisciplinato ed era quello che mi meritavo”.
Solo dopo anni di terapia queste persone arrivano a prendere coscienza che nulla di ciò che sono stati costretti a subire era davvero colpa loro, e che non dovrebbero provare vergogna e disgusto per loro stessi.
“Il vissuto di colpa occupa una posizione centrale nella caratterizzazione del mondo interno del bambino che ha subito un abuso sessuale. Il bambino abusato, per l’intervento di un meccanismo identificatorio, assume su di sé la colpa dell’aggressore in un processo amplificato dal diniego dell’evento traumatico, messo in atto dall’adulto.” (Kluzer, 1996).
La vergogna interiorizzata negli abusi sessuali
Le vittime di abusi sessuali tendono a provare vergogna per quanto accaduto e interiorizzarla come meccanismo automatico e difficile da disinnescare.
Arrivano a pensare di avere meritato quanto accaduto, e di aver subito quel trauma come punizione per una loro mancanza, ecco perché la vergogna spesso è accompagnata da un forte senso di colpa e rabbia verso sé stessi più che verso il proprio aggressore.
Le vittime di abusi sessuali tendono a costruirsi uno schema di sé come seduttrici, portando la convinzione di essere colpevoli per l’atto avvenuto, di essere troppo attraenti, o troppo dolci, o troppo generose. La conseguenza di ciò può generare depressione, sensi di colpa, promiscuità o inibizione sessuale (Gelinas, 1983; Herman, Russell & Trocki, 1986).
Colpevolizzarsi come meccanismo di coping
In entrambi i casi, siamo di fronte a dei meccanismi di coping che subentrano per fare fronte alla paura e al senso di impotenza provato.
Pensare di aver giocato un ruolo decisivo nell’evento traumatico e auto colpevolizzassi è un modo per riacquisire il controllo di quanto accaduto: se in futuro non mi comporterò mai più così, allora non dovrò mai più rivivere quanto ho subito.
In più, nel caso di abusi infantili, l’attaccamento al caregiver influenza in larga misura la reazione dei bambini che nonostante tutto, vanno alla ricerca dell’approvazione di quest’ultimo anche se non mette in pratica alcun comportamento di accudimento nei loro confronti. Infatti, i bambini dipendono in larga misura dal caregiver e come istinto di sopravvivenza lo cercano per sentirsi al sicuro.
Un messaggio sociale completamente sbagliato
La tendenza a vittimizzare i carnefici e puntare il dito sulle vittime è intrinseca nella società in cui viviamo, soprattutto nel caso di abusi sessuali su donne adulte.
Infatti, se i bambini vengono maggiormente tutelati dall’opinione pubblica, molte donne vittima di abusi vengono accora additate come le dirette responsabili dello stupro che subiscono:
“I vestiti che indossavi erano troppo provocanti”, “Non avresti dovuto accettare quel drink”, “Non avresti dovuto uscire tardi la sera, sei stata imprudente” sono solo degli esempi di ciò che ogni giorno le vittime di stupro sono costrette a sentirsi dire.
Tutto questo non fa che aumentare la vergogna interiorizzata nelle vittime e il loro senso di colpa, tanto da portare molte donne a non denunciare nemmeno la violenza subita per paura di non essere capite o per il disgusto che arrivano a provare per loro stesse.
Come rompere il ciclo di auto colpevolizzazione?
Per superare questo senso di colpa ed elaborare l’evento traumatico nel modo corretto un percorso di terapia risulta essenziale, soprattutto per raggiungere quello che possiamo definire “auto-perdono”, sebbene a mente lucida, guardando l’evento dall’esterno, non ci sembra che la vittima debba alcun modo perdonare sé stessa per quanto è stata costretta a subire.
Tuttavia, è necessario che si perdoni per tutto ciò che abbiamo visto sopra: l’autocritica e l’odio auto-ricondotti per non essere stati in grado di evitare l’evento possono essere deleteri e ostacolare il processo di guarigione e di superamento del trauma.
Perdonarsi vuol dire empatizzare con sé stessi e smettere di punirsi per il fallimento percepito, sostituendo questa punizione con la compassione.
Accettare di essere una vittima a tutti gli effetti può essere doloroso, molto più doloroso dell’auto colpevolizzarsi, ma è necessario per lasciare andare il passato.
Se hai vissuto un evento traumatico per cui continui a colpevolizzarti o che non riesci a lasciarti alle spalle, non avere paura di chiedere aiuto ad un esperto che ti aiuti a rileggere quanto accaduto in modo nuovo, prendendo le distanze dall’evento per osservarlo per ciò che davvero è stato.